È la notizia di questi giorni: il marketplace americano Etsy ha comprato per 1,63 miliardi di dollari l’app Depop, creata nel 2011 dall’imprenditore italiano Simon Beckerman. Si tratta di un’acquisizione eccezionale nella storia delle startup italiane, un’acquisizione che genera il secondo “unicorno” nazionale dopo Yoox, colosso della moda online (anche in questo caso settore fashion) nato una dozzina di anni fa. La piattaforma Depop, con una valutazione che è quasi il doppio di quella che Facebook diede a Instagram nel 2012, conta 30 milioni di utenti in più di 150 Paesi.
La storia di Depop, il marketplace rivoluzionario
La storia di Depop è emblematica, al di là dell’eccezionalità dei numeri in gioco, e illustra in un colpo solo cosa significa “startup”, e come questo si declini in Italia.
Il founder milanese, dopo un passaggio al Politecnico di Milano, inizia a lavorare per uno studio di grafica, ma presto apre una sua attività. Crea PIG Magazine, rivista dedicata a giovani talenti nel campo della musica, del design e della moda, e si occupa di strategia di prodotto. Nonostante gli affari vadano bene, decide di investire nel digitale; qui inizia la storia di Depop che alle origini è un social network, ma presto viene reinventata come marketplace rivoluzionario per vedere, acquistare e prendere ispirazione sui nuovi trend, seguendo uno stile democratico e rivolto alla Generazione Z.
I primi passi di Depop sono incubati in H-Farm, venture incubator di Treviso, che si occupa della fase di seed, quella più rischiosa per una startup, con un investimento iniziale di tutto rispetto per il nostro Paese, che sfiora gli 800mila euro, e una clausola di earn-out: quando sarà momento, il pagamento del 35% di quanto ottenuto da futuri acquisitori. Una bella scommessa allora.
Depop si trasferisce presto a Londra: da un lato a quell’epoca in Italia era scarso il know-how tecnico per realizzare un’applicazione funzionale al tipo di servizio pensato, dall’altro mancava un mercato dei capitali di ventura per ottenere i fondi per scalare il suo mercato (e la situazione non è tanto migliore oggi come dimostra anche il recentissimo caso Commerce Layer).
Arriviamo a oggi. Etsy punta gli occhi su Depop per seguire la tendenza della circular economy con la compravendita di abiti di seconda mano e raggiungere la Generazione Z.
Cosa ci insegna questa storia?
Ci insegna che fare startup non è improvvisazione, non è colpo di genio, non è fortuna, come a volte si pensa romanticamente. La startup nasce dal mindset imprenditoriale di chi sa osservare i mercati, spesso gli startupper sono per questo imprenditori seriali, e non a caso la valutazione dell’imprenditore è tra i primi criteri di valutazione di una startup.
Ci insegna che fare startup implica anche adottare un approccio alla sperimentazione continua, il cosiddetto pivoting, per trovare la strada migliore per raggiungere i propri obiettivi, cambiare strategia senza cambiare visione, accettando di abbandonare velocemente ciò che non funziona ma con la stessa velocità cogliere i bisogni del mercato. La formazione e il sostegno all’imprenditorialità possono aumentare le capacità di un Paese nel generare casi di successo.
Sono importanti però anche i passi successivi. L’ecosistema startup ha bisogno della componente capital venture per sostenere la fase iniziale, non a caso definita valle della morte. Gli investitori professionali e/o istituzionali, che investono il proprio capitale di rischio in aziende e progetti innovativi, accompagnano le startup nelle fasi più critiche del loro stadio di vita, in cui sono pura ricerca, sviluppo e sperimentazione, senza fatturato. Il rischio fa parte del gioco, ma le condizioni devono consentire alla startup di scalare senza briglie, senza vincoli sulle proprietà intellettuali.
Depop, un successo condiviso
La fine della storia è un successo condiviso. H-Farm potrà ottenere, al closing dell’operazione, un rendimento del 15,5% sul suo investimento iniziale. Dopo l’annuncio dell’acquisizione, Etsy ha guadagnato il 2,5% al Nasdaq, arrivando a 167 dollari per azione. È un fattore leva a cui spesso si assiste, generato anche dalla fiducia indotta da azioni imprenditoriali di questo tipo.
I Paesi in cui questi meccanismi e l’ecosistema per l’innovazione funzionano, sono meta delle startup (e non solo), attraggono talenti, e generano sviluppo. Quelli in cui manca la cultura e le condizioni di contesto (legislative e governative ad esempio) allontanano gli imprenditori e le menti migliori, impoverendosi in modo diretto e indiretto.
Anche il caso Depop dimostra quello che da anni sosteniamo con gli Osservatori Startup Intelligence e Startup Hi-tech: le leve su cui il nostro Paese deve lavorare per la nostra crescita devono essere indirizzate al rilancio dell’imprenditorialità, con un focus sull’ecosistema startup, e quindi sviluppo della formazione, delle cultura dell’innovazione, degli investimenti e delle azioni pubbliche e private di sostegno.
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